soggetto e tecnologia
L'analisi della tecnologia e il suo ruolo nella attuale cultura sono tutt'altro che condivisi oggi.
Il presupposto da cui parto è il superamento della scissione scienza-tecnologia che deriva dal superamnto soggetto-oggetto e teoria-porassi. L'uomo è artfice del mondo attuale, ne determina i contesti e girando il nostro sguardo difficilmente, a meno di essere a 4.000 metri o al polo (e forse neanche lì), diviene difficile usare il termine di paesaggio naturale. Di qui la non estraneità dell'uomo dall'analisi del mondo, l'impossibilità di guardare il mondo dall'esterno, da osservatore esterno.
Da qui derivano due conseguenze: il ruolo della corporeità nella consocenza, la presenza di una mente diffusa dentro e fuori dai singoli soggetti, rete con altri soggetti, supportatta da artefatti materiali.
La relazione soggetto-tecnologia è centrale nel dibattito attuale; esistono accanto a quella presentata posizione diverse, molte catastrofiste. Ma contemporaneamente risulta difficile connettere le analisi a schieramenti o a appartenenze filosofiche. La visione della tecnologia come alienazione dell'uomo e soffocamento del suo umanesimo, ad esempio, è presente sia in autori e ricercatori che appartengono all'area cattolica, sia a quella laica e viceversa.
Si veda ad esempio Cambi. Egli sostiene che per procedere verso un ri-pensamento ulteriore e post-classico (per così dire) dell’uomo e del soggetto occorre seguire tre percorsi: (1) il superamento del concetto classico di soggetto della cultura occidentale, (2) lo sviluppo di un ritorno del soggetto in chiave ermeneutica, (3) l'affermarsi di un soggetto sempre più tecnicamente manipolabile e manipolato, sempre più irretito in controlli tecnologici anche di grana assai fine, che ne vincolano l’identità e l’autonomia e la libera progettualità". E più avanti critica Pinto che nel suo volume Post-umano e pedagogia sostiene che la condizione umana si struttura sull’ibridazione e si nutre di essa, anche con le “macchine”, e non deve fare paura. Sì, tutto vero, ma le “macchine” si sono fatte più sottili e condizionanti, sono penetrate negli organi, domani (anzi oggi stesso) nei circuiti cerebrali (e già lo fanno molti farmaci: dal Tavor al Prozac), alterando identità, strutture, processi e dando vita a un nuovissimo anthropos che surclassa non solo il soggetto tradizionale, ma anche quello ermeneutico e postmoderno, relegandoli negli archivi della storia. Al di là dei pacemaker, dei bypass, delle stesse staminali si aprono frontiere di intervento sull’uomo che, a partire dal DNA, lo manipolano e lo governano; e ben al di là degli accordi di un’etica della ricerca che è fragilissima e non può, pertanto, fungere da correttivo. Senza essere catastrofisti dobbiamo riconoscere di stare oltrepassando un confine, una tradizione e di entrare in un territorio sconosciuto e, proprio per questo, non controllabile e carico, in sé, di potenzialità che ci appaiono, appunto, post-umane. E già i mass-media (come ricordava Chiaberge, in un suo trafiletto su “Il Sole-24 ore”) stanno operando, da par loro, questa espropriazione dell’identità e della coscienza, questa colonizzazione del soggetto. E non da oggi". (Cambi, La “questione del soggetto” come problema pedagogico, in Studi sulla formazione, 2-2008, pag. 99-107, ISSN 2036-6981).
Ancora Cambi in "L’epistemologia pedagogica oggi", contributo profondamnete profetico da diversi punti di vista, afferma: "Certo, davanti alla cattura della scienza da parte della tecnica, che ne costituisce, socialmente, storicamente, la frontiera più decisiva, più legittimante e più innovativa, l’autorappresentazione della scienza e delle scienze si è fatta meno significativa. Le scienze funzionano, operano, guidano la cultura e la società. Vanno sviluppate, non inquietate. E ciò si vede, oggi, anche in pedagogia: le tecnologie dell’educazione tengono il campo e si offrono come le vere pedagogie del nostro tempo. Sono efficaci, sono progressive, sono produttive e, così, stanno al passo con la cultura dell’Età T ecnologica. L’epistemologia, allora, cade in un cono d’ombra. E di fatto è caduta. Ma qui opera, per così dire, un feticismo della tecnica che nella cultura attuale è tutt’altro che scontato. Intorno al nesso scienza/tecnica si deve continuare a riflettere. E ciò è possibile se ci si interroga su cosa è «scienza» e su cosa è «tecnica». Se ci si impegna, appunto, in una riflessione epistemologica e a tutto campo. Allora l’epistemologia ritorna. E ritorna come sapere critico sulla scienza, sul suo valore, sulla sua funzione, anche sui suoi limiti (interni e esterni). E anche su questa frontiera ancora Agazzi ci è stato maestro (si rileggano opere come L’oggettività della conoscenza scientifica o Filosofia, scienza, verità o Il bene, il male, la scienza)".
Il presupposto da cui parto è il superamento della scissione scienza-tecnologia che deriva dal superamnto soggetto-oggetto e teoria-porassi. L'uomo è artfice del mondo attuale, ne determina i contesti e girando il nostro sguardo difficilmente, a meno di essere a 4.000 metri o al polo (e forse neanche lì), diviene difficile usare il termine di paesaggio naturale. Di qui la non estraneità dell'uomo dall'analisi del mondo, l'impossibilità di guardare il mondo dall'esterno, da osservatore esterno.
Da qui derivano due conseguenze: il ruolo della corporeità nella consocenza, la presenza di una mente diffusa dentro e fuori dai singoli soggetti, rete con altri soggetti, supportatta da artefatti materiali.
La relazione soggetto-tecnologia è centrale nel dibattito attuale; esistono accanto a quella presentata posizione diverse, molte catastrofiste. Ma contemporaneamente risulta difficile connettere le analisi a schieramenti o a appartenenze filosofiche. La visione della tecnologia come alienazione dell'uomo e soffocamento del suo umanesimo, ad esempio, è presente sia in autori e ricercatori che appartengono all'area cattolica, sia a quella laica e viceversa.
Si veda ad esempio Cambi. Egli sostiene che per procedere verso un ri-pensamento ulteriore e post-classico (per così dire) dell’uomo e del soggetto occorre seguire tre percorsi: (1) il superamento del concetto classico di soggetto della cultura occidentale, (2) lo sviluppo di un ritorno del soggetto in chiave ermeneutica, (3) l'affermarsi di un soggetto sempre più tecnicamente manipolabile e manipolato, sempre più irretito in controlli tecnologici anche di grana assai fine, che ne vincolano l’identità e l’autonomia e la libera progettualità". E più avanti critica Pinto che nel suo volume Post-umano e pedagogia sostiene che la condizione umana si struttura sull’ibridazione e si nutre di essa, anche con le “macchine”, e non deve fare paura. Sì, tutto vero, ma le “macchine” si sono fatte più sottili e condizionanti, sono penetrate negli organi, domani (anzi oggi stesso) nei circuiti cerebrali (e già lo fanno molti farmaci: dal Tavor al Prozac), alterando identità, strutture, processi e dando vita a un nuovissimo anthropos che surclassa non solo il soggetto tradizionale, ma anche quello ermeneutico e postmoderno, relegandoli negli archivi della storia. Al di là dei pacemaker, dei bypass, delle stesse staminali si aprono frontiere di intervento sull’uomo che, a partire dal DNA, lo manipolano e lo governano; e ben al di là degli accordi di un’etica della ricerca che è fragilissima e non può, pertanto, fungere da correttivo. Senza essere catastrofisti dobbiamo riconoscere di stare oltrepassando un confine, una tradizione e di entrare in un territorio sconosciuto e, proprio per questo, non controllabile e carico, in sé, di potenzialità che ci appaiono, appunto, post-umane. E già i mass-media (come ricordava Chiaberge, in un suo trafiletto su “Il Sole-24 ore”) stanno operando, da par loro, questa espropriazione dell’identità e della coscienza, questa colonizzazione del soggetto. E non da oggi". (Cambi, La “questione del soggetto” come problema pedagogico, in Studi sulla formazione, 2-2008, pag. 99-107, ISSN 2036-6981).
Ancora Cambi in "L’epistemologia pedagogica oggi", contributo profondamnete profetico da diversi punti di vista, afferma: "Certo, davanti alla cattura della scienza da parte della tecnica, che ne costituisce, socialmente, storicamente, la frontiera più decisiva, più legittimante e più innovativa, l’autorappresentazione della scienza e delle scienze si è fatta meno significativa. Le scienze funzionano, operano, guidano la cultura e la società. Vanno sviluppate, non inquietate. E ciò si vede, oggi, anche in pedagogia: le tecnologie dell’educazione tengono il campo e si offrono come le vere pedagogie del nostro tempo. Sono efficaci, sono progressive, sono produttive e, così, stanno al passo con la cultura dell’Età T ecnologica. L’epistemologia, allora, cade in un cono d’ombra. E di fatto è caduta. Ma qui opera, per così dire, un feticismo della tecnica che nella cultura attuale è tutt’altro che scontato. Intorno al nesso scienza/tecnica si deve continuare a riflettere. E ciò è possibile se ci si interroga su cosa è «scienza» e su cosa è «tecnica». Se ci si impegna, appunto, in una riflessione epistemologica e a tutto campo. Allora l’epistemologia ritorna. E ritorna come sapere critico sulla scienza, sul suo valore, sulla sua funzione, anche sui suoi limiti (interni e esterni). E anche su questa frontiera ancora Agazzi ci è stato maestro (si rileggano opere come L’oggettività della conoscenza scientifica o Filosofia, scienza, verità o Il bene, il male, la scienza)".
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