Ambiguità e terzo spazio

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Merleau-Ponty (2003) parla di ambiguità per definire la presenza di logiche differenti e inseparabili che grazie alla loro interazione permettono l’esistenza del sistema. L’ambiguità deriva dal dialogo ricorsivo tra i diversi. Nel dialogo i diversi non perdono la loro specificità, né la superano in senso hegeliano.  Il diverso rimane diverso e proprio in quanto tale dialoga e porta un contributo al sistema. Diversità e inseparabilità tra corpo-vivente/vissuto/proprio (Leib) e corpo-cosa/oggetto (Körper), tra sensazione e percezione, tra percezione e azione, tra anima e corpo o, come si direbbe oggi, tra corpo e mente fondano l’ambiguità. L’ambiguità non è pertanto coesistenza del diverso, ma esistenza stessa del vivente: “le diverse parti del mio corpo, i suoi aspetti visivi, tattili e motori non sono semplicemente coordinati” (ivi, 213); “l’ambiguo è essenziale all’esistenza umana e tutto ciò che noi viviamo o pensiamo ha sempre più di un senso” (ivi, 237).

"Il Soggetto della percezione rimarrai ignorato finché non sapremo evitare l'alternativa fra il naturato e il naturante, fra la sensazione come stato di coscienza e la sensazione come coscienza di uno stato, fra l'esistenza in sé e l'esistenza per sé. Ritorniamo quindi alla sensazione, guardiamola tanto vicino che essa ci mostri il rapporto di colui che percepisce con il suo corpo e con il suo mondo" (ivi, 285).

“L’apparente e il reale devono rimanere ambigui” (ivi, 384) così l’oggettivo e soggettivo. Superare l’ambiguità significa separare oggettivo da oggettivo, il percepito dal reale, il mio essere al mondo con il mondo che mi circonda. La separatezza determina che
l’apparenza più chiara può ormai essere illusoria. Non dobbiamo scegliere tra una filosofia dell’immanenza o un razionalismo che rende conto solo della percezione della percezione della verità e una filosofia della trascendenza o dell’assurdo che rende conto solo dell’illusione o dell’errore.
E sottolinea come sia la presenza di errori è determinata dalle verità in nome delle quali “correggiamo gli errori e li consociamo come errori”. La verità non nasce dalla “semplice esistenza in noi di un’idea incontestata, la fede immediata in ciò che si presenta; esso presuppone interrogazione, dubbio, rottura con l’immediato, è la correzione di un errore possibile.
Ogni esperienza è frutto di una percezione per cui “essere reale e apparire fanno un tutt’uno” e “la trasparenza della coscienza comporta l’immanenza e l’assoluta certezza dell’oggetto”. (…) Per definizione la coscienza non ammette la separazione fra l’apparenza e la realtà.

La condizione post-umana, secondo Braidotti, costringe allo slittamento delle linee di demarcazione tra le differenze strutturali o tra le categorie ontologiche, ad esempio tra l’organico e l’inorganico, l’originale e il manufatto, la carne e il metallo, i circuiti elettronici e i sistemi nervosi organici” (ivi, 97). L’autrice mette il concetto di non-uno al centro del post-umano e del post-antropocentrico (2013, 103). Parla di
slittamento dalla differenza degli schemi binari ai processi rizomatici; dalle opposizioni sesso/genere o natura/cultura ai processi di sessualizzazione, razzializzazione e naturalizzazione che fanno della vita in sé o della vitalità della materia il loro obiettivo principale. Questo sistema provoca l’indebolimento delle differenze dicotomiche, il che non risolve né migliora il potere delle differenze, anzi lo intensifica in modi diversi (ivi, 104).
Il principio del non-uno è per l’autrice “una differenza da sé che è costitutiva del soggetto post-umano”, “struttura profonda della nostra soggettività, tramite il riconoscimento dei legami che ci uniscono ai molteplici altri in una trama vitale di interrelazioni complesse” che crea la necessità “di elaborare forme di responsabilità etica per accompagnarlo” (ivi, 108). In una visione post-antropocentrica gli altri sono sia il divenire animale, ma anche il divenire macchina.
In ambito sociologico Tabboni (2006), riprendendo Touraine (2009), vede nell’altro, lo straniero ma non solo, sia identità che diversità, una continua ricorsività e ambiguità tra immedesimazione e distanziamento. E l’altro non è più solo la cultura e la società del paese di origine, ma un prodotto ibrido del passato e del presente, dell’altrove e del qui.
La teoria del terzo spazio nasce in ambito geografico (Soja) come superamento delle dicotomia città-campagna individuando spazi ibridi dove soggetti appartenenti ai due mondi convivono, si pensi alle case, e dove l’interazione permette di produrre emergenze che vanno oltre il primo e il secondo spazio. Gutierrez prima e Flessner più recentemente (2014) applicano in ambito pedagogico la teoria del terzo spazio “in which traditional conceptions of academic literacy and instruction for students from nondominant communities are contested and replaced with forms of literacy that privilege and are contingent upon students’ sociohistorical lives, both proximally and distally” (Gutiérrez, 2008, 148). Gutierrez riprendendo Crosland (2004) e un suo precedente scritto (Gutiérrez & Jaramillo, 2006)  critica approcci che in apparenza sono oltre le divisioni e che invece hanno alla base una ben precisa cultura:
impiegano il principio della "identità come equità", rendendo più facile recuperare piccoli guadagni nell'equità educativa e attuare le pratiche "blind" delle politiche esclusivamente “inglesi” e dei curricoli validi per tutti (one-size-fits-all) e pratiche guidate da valutazioni a alto livello (high-stakes) (Gutierrez, 2008, 148).
Propone per la formazione e soprattutto per l’insegnamento della literacy il terzo spazio.
A collective Third Space is interactionally constituted, in which traditional conceptions of academic literacy and instruction for students from nondominant communities are contested and replaced with forms of literacy that privilege and are contingent upon students’ sociohistorical lives, both proximally and distally. Within the MSLI, hybrid language practices; the conscious use of social theory, play, and imagination; and historicizing literacy practices link the past, the present, and an imagined future (idem).



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