La complessità in classe
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La complessità in classe
Abbiamo ripetutamente evocato la complessità. Perché la
situazione attuale, in particolare la scuola e la classe, presentano maggiori
elementi di complessità rispetto a un passato anche recente?
Nel 2000 Barnett parla di super-complessità, nel 2013 Blommaert
di superdiversità. Nel 2014 Teresa L. McCarty et al. partono dalla
super-diversità e dalla globalizzazione che ne è la causa per ridefinire il
perimetro della ricerca educativa. Niegemann et al. (2008) indicano sia i
fattori che caratterizzano oggi la classe[1],
sia le relazioni che li connettono: le diverse caratteristiche degli studenti,
la necessità di personalizzazione, le molte educazioni e finalità
dell’educazione, e, oggi più di ieri, gli ambienti di apprendimento basati sui
multimedia. La competenza digitale è sia una finalità essa stessa e richiede
anche abilità che si intrecciano nello studio delle differenti discipline.
Esaminiamo alcuni fattori che a nostro parere sono
all’origine di una maggiore complessità del mondo della scuola oggi rispetto al
passato, che si sommano a quelli più generali descritti nel capitolo primo.
Il primo elemento è sicuramente la
eterogeneità della classe. Differenti culture, differenti linguaggi, differenti
abilità, ma anche differenti conoscenze, nel senso che ogni studente possiede
“frammenti” che dipendono da esperienze personali, dai contesti informali in
cui vive e dalle attività che svolge con la famiglia o con altre comunità a cui
appartiene. I frammenti di conoscenza del singolo studente sono tra loro
non connessi, né validati scientificamente. Questo impone alla scuola da un
lato di valorizzare e rendere collettivi i frammenti di sapere e i patrimoni
individua, e dall’altro fornire strumenti per analizzare e valutare, e quindi
validare o meno i frammenti.
Il secondo elemento
è la presenza in ogni percorso di più fili autonomi e intrecciati. Dede e
Fishman (2015) parlano di tre dimensioni: disciplinare, inter-personale e
intra-personale, Prensky sottolinea l’importanza di focalizzare l’attenzione
sulle soft skill, Laurillard richiede che il curricolo dell’istruzione
superiore dovrebbe contemplare “lo sviluppo di una conoscenza codificata
specializzata” e “di capacità cognitive trasversali” (2014, 33). La
Commissione europea parla di competenze. Vi è un ampio dibattito relativo alle
competenze. Alcuni autori le leggono come funzionali alle esigenze della
produzione, altri come un’attenzione allo sviluppo globale della identità
personale. Le due letture precedenti forse vanno interpretate in termini
foucaultiani come espressione della duplicità del dispositivo scuola: la scuola
è a un tempo una struttura dell’attuale società e contemporaneamente prefigura
il futuro e le aspettative delle giovani generazioni. Pertanto è sia uno
strumento di autoriproduzione sociale, in quanto strutturante, sia un elemento
di cambiamento, in quanto strutturato e modificato dagli attori che la
popolano.
Altro nodo da sciogliere è la caratteristica trasversale e
disciplinare delle competenze disciplinari. Le competenze europee mostrano un
forte intreccio tra elementi trasversali ed elementi disciplinari. La nostra
proposta è quella di vedere le discipline e le competenze come due prospettive
diverse con cui analizzare e gestire l’azione didattica. Parlare di competenze,
a nostro parere, significa approcciarsi ai temi educativi con uno sguardo altro
da quello delle discipline, ma non alternativo. Entrambe le prospettive sono
necessarie per agire perché spesso la logica abduttiva delle competenze va
validata con la logica deduttiva e induttiva delle discipline e viceversa la
logica abduttiva delle competenze apre traiettorie che le discipline non
potrebbero individuare.
Un terzo elemento è dato dall’ampio catalogo di materiali e strumenti che il contesto attuale fornisce, grazie in particolare al digitale. Immagini, video, possibilità di comunicazione, uso di apparati sperimentali, di simulazioni. Se questa è il primo elemento che emerge, la realtà è forse più complessa in quanto contemporaneamente sono diminuiti gli spazi fisici esplorati dagli studenti. Anche qui con molte contraddizioni: viaggiano di più e conoscono più mondi, ma manipolano meno oggetti reali. Se si parla con docenti, che hanno iniziato a insegnare trenta o quaranta anni fa, raccontano che gli studenti sapevano usare le forbici, piegare i fogli, manipolare l’argilla. Inoltre quando per affrontare un argomento emergeva l’esigenza di uscire dalla scuola e andare al mercato, alla fattoria, al parco, si decideva e faceva. Oggi tali modalità operative sono spesso improponibili: uscire richiede una progettazione di lungo termine, permessi dei genitori, richieste di pulmini e di assistenza. I problemi e i pericoli connessi con l’uscita si sono moltiplicati. La mancanza di esperienza pratica degli studenti aumenta la complessità della scuola sulla quale oggi grava anche la formazione al manipolare che un tempo era frutto delle pratiche nei contesti informali e la necessità di inventare modalità vicarianti per supplire alle esperienze non possibili.
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