La mediazione in ambiti non didattici
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Varie teorie parlano di mediazione. Abbiamo già
ricordato[1] come
Ricoeur vede nella medietà un elemento caratteristico degli umani e una leva
importante per favorire il pensiero divergente. Ne parla Pierce in ambito
semiotico-linguistico. La teoria della comunicazione di Petöfi si basa su un
processo di mediazione in quanto il significato attribuito al vehiculum dal
mittente è diverso da quello attribuito allo stesso dal ricevente. Mariotti e
Bartolini Bussi parlano di mediazione semiotica nell’ambito della didattica
della matematica. Damiano pone alla base della didattica come scienza la
mediazione.
La parola è la stessa e in tutte le prospettive
ricordate si ha la presenza di oggetti proteiformi che rendono possibile la
mediazione. In ogni modello ci sono oggetti di frontiera (Wenger li definisce boundary object) che permettono un salto
metaforico tra due insiemi tra loro distinti e non comunicabili razionalmente.
Il processo abduttivo, l’apprendimento, la riequilibrazione di un sistema
complesso perturbato si reificano grazie a un processo divergente favorito da
un oggetto mediatore tra dimensioni differenti.
La relazione tra le diverse teorie
precedentemente richiamate finisce lì.
Differenti tipologie di mediazione possono
presentarsi anche in un medesimo territorio. Nell’agire didattico, e non solo,
interagiscono un piano semiotico-comunicativo, un piano socio-linguistico e un
piano pedagogico-didattico; in ognuno di essi possiamo parlare di mediazione e
anche tra tali piani vi è un processo di mediazione. La mediazione ha nei vari
approcci funzioni differenti e opera in base a epistemologie differenti.
Le analizziamo insieme solo perché riteniamo
interessante coglierne analogie e differenze. L'argomento è in questa sede solo
abbozzato.
La mediazione nella semiotica
A livello semiotico nel triangolo proposto da
Pierce l’artefatto mediatore fa da ponte tra oggetto e interpretante. Nel
saggio “La logica delle relazioni”, Peirce spiega: «Il Segno, in generale,
è il terzo membro di una triade: prima c’è una cosa in quanto tale, poi c’è una
cosa in quanto reagisce con un’altra cosa, infine c’è una cosa in quanto
rappresenta un’altra cosa a una terza» (247).
Rimanendo nel campo della filosofia del
linguaggio, Petöfi (1995) collega il piano semiotico a quello della
comunicazione. Nella comunicazione tra umani un vehicolum fa da ponte tra l’Io e l’Altro e media la comunicazione.
Per il filosofo ungherese il vehiculum
è l’artefatto mediatore in quanto è la rappresentazione fisica del messaggio
(Ve), ma assume due forme diverse, una prodotta dal produttore (Ve) e l'altra
dall'interprete (Ve’).
Figura 1 -
Modello della situazione comunicativa, in Petöfi (1995)
La presenza di media digitali amplia ancora lo
spazio della mediazione in quanto occorre esaminare anche la relazione tra i
vari media che compongono l’oggetto multimediale. Ogni livello di mediazione
opera con una logica frattale e ciascuno contiene un mondo. Già in un saggio
del 1993 Hess-Luttich proponeva alcune linee guida per un’analisi del
multimediale e suggeriva di aprire un cantiere di lavoro per analizzarne i
prodotti, non solo esplorando le caratteristiche dei singoli media, ma
soprattutto le interazioni tra gli stessi. Sottolineava la presenza di molte
dimensioni nel concetto di media che “nella semiosi interagiscono praticamente,
ma che vengono differenziate analiticamente a seconda dell’aspetto della
comunicazione cui prevalentemente si rivolge l’interesse: l’aspetto
socio-comunicativo o pragmatico della costituzione istituzionale dei media,
quello fisio-tecnologico dei canali di trasmissione utilizzati, quello
fisico-cognitivo delle modalità sensoriali coinvolte, quello
semiotico-strutturale delle modalità semiotiche, quello storico-genetico del
cambiamento dei media, della loro utilizzazione e della loro cultura” (ivi,
12). Nell’aspetto “socio-comunicativo o pragmatico della costituzione
istituzionale dei media” inseriamo la componente pedagogico-didattica. L’autore
proponeva una netta distinzione “tra la comunicazione multimediale e la
comunicazione multimodale, con cui indicava la combinazione di due o più
modalità sensoriali, codici e modalità segniche” e porta come esempio i riti
liturgici nei quali si ha la presenza di “voce, canto, incenso” e gestualità
(ivi, 13).
L'analisi dei media tiene conto di varie
dimensioni e, come detto, Hess-Luttich sulla scia di Posner ne distingue varie:
biologica, fisica, tecnologica, sociologica, culturale, sistemica. Infine
introduce quella strutturale “con riferimento alla modalità semiotica della
trasmissione dei segni (per esempio modalità segnica iconica, indessicale,
simbolica)” (ivi, 12).
La mediazione nella didattica della matematica
In ambito della didattica della matematica
Bartolini-Bussi e Mariotti (2009), a partire da Vygotskij, hanno elaborato la
teoria della “Mediazione semiotica” (Fig. 2). In tale approccio l’artefatto fa
da cerniera e garantisce il passaggio tra il sapere prodotto in ambito scolastico
e il sapere sapiente formalizzato dalle discipline. Attraverso l’artefatto lo
studente passa da una descrizione degli eventi che utilizza il linguaggio di
tutti i giorni a una descrizione con il linguaggio matematico. Anche in questo
caso è la caratteristica proteiforme dell’artefatto che permette la doppia
visione in quanto l’artefatto appartiene sia al mondo dello studente, sia a
quello della matematica. Sono artefatti nel senso indicato da Bartolini e
Mariotti.
Nell’agire didattico vi è un mondo “altro” oltre
l’aula, il mondo esterno di cui il sapere sapiente propone una descrizione
organica e teleologica. Il sapere sapiente è esterno alla scuola e nella scuola
si ha un sapere altro, il sapere trasposto. La clessidra precedente pertanto
può essere letta come la connessione attraverso un mediatore/artefatto tra due
eterotopie quella scolastica e quella extrascolastica.
La mediazione didattica
Nella proposta teorica di Damiano, la mediazione
didattica ha una funzione chiave nel processo di apprendimento e insegnamento,
e media la relazione tra docente e studente, sul piano del potere, e la
relazione tra studente e sapere, sul piano della conoscenza. Le caratteristiche
del dispositivo mediatore dipendono dagli scambi tra docente e studente e dai
loro ruoli, dalle attività svolte e dalle modalità con cui essi operano con
l’artefatto.
Damiano individua quattro tipologie di mediatori
nell’agire didattico: attivi, iconici, analogici e simbolici. La divisione
nelle quattro categorie usa parametri diversi in quanto classifica l’attivo e l’analogico
in base all’azione e l’iconico e il simbolico in base alle caratteristiche
mediali dell’artefatto (Rivoltella & Rossi, 2019, 117-118).
Oggi sembra difficile attuare una netta
separazione tra le diverse tipologie di mediatori in quanto l’ibridazione
veicolata dal digitale rende sempre più sottili le frontiere e la liquidità
anche essa tipica del digitale rende gli artefatti dinamici nel tempo e nello
spazio.
Una lettura determinista del testo di Damiano,
in cui cadono spesso gli studenti nella formazione iniziale, porta o a definire
come mediatori tutti gli artefatti presenti nell’agire didattico, o a
individuare la tipologia della mediazione in base alla caratteristica
dell’artefatto. La LIM di per sé non è un mediatore e il suo modo di operare
nella didattica dipende dai contenuti presenti. Ugualmente non è detto che la
presenza di un’immagine o del linguaggio permettano di categorizzare automaticamente
un dispositivo come iconico o simbolico.
È lo stesso Damiano (2013), d’altro canto, a
suggerire una lettura non meccanicistica della sua teoria quando avverte che “a
certe condizioni, anche i mediatori iconici – soprattutto facendo ricorso a
immagini pregnanti – e i mediatori simbolici – per esempio, attraverso stimoli
aperti come il problem posing – possono essere utilizzati nel Warming-up”.
Le osservazioni precedenti permettono di
semplificare la classificazione e di focalizzare l’attenzione sul legame fra
mediazione e azione recuperando la distinzione, anche essa proposta da Damiano,
tra “mediatori caldi - capaci di indurre motivazioni e mobilitare risorse
emotivo-affettive – come i mediatori attivi, con la concretezza dell’esperienza
diretta, e i mediatori analogici, con l’attrazione dell’esperienza ludica e
della simulazione. Gli uni e gli altri sono da considerare tra i più efficaci
produttori di conoscenze nuove - e mediatori freddi - ovvero i mediatori
simbolici, magari in associazione con i mediatori iconici. Questi, in ogni
caso, sono tra i mediatori quelli che si raccomandano quando è il tempo di
raccogliere e organizzare le conoscenze” (ivi, 207-208). Per Damiano
l’alternanza tra mediatori caldi e freddi caratterizza il ritmo della didattica,
come si discuterà nel capitolo quattordicesimo.
L’alternanza tra mediatori caldi e freddi
supporta il lavoro disciplinare e media tra soggetto e oggetto culturale: il
soggetto prima sperimenta e poi, nel debriefing, costruisce la conoscenza situata.
Nello stesso tempo si può parlare di alternanza tra immersione e distanziamento
che si attiva nei processi dove la mediazione è tra il soggetto che agisce e il
soggetto che riflette sulla propria conoscenza. In questo caso, come ampiamento
approfondito nel paragrafo 6.2, gli artefatti mediatori utilizzati sono
differenti, ma i dispositivi possono essere descritti come caldi e freddi, per
l’immersione e per il distanziamento.
Attivo e analogico, iconico e simbolico
Da un’analisi del testo di Damiano emerga il
doppio riferimento del mediatore all’azione e alla rappresentazione. I
mediatori iconici e simbolici sembrano più connessi alla rappresentazione,
mentre gli attivi e gli iconici ai processi e all’azione. Perché emerge ora con
più evidenza tale caratteristica?
La causa a nostro parere è da ricercare nei temi
già esplosi nel capitolo quinto quando si è discusso dell’importanza dei
processi nella formazione dei cittadini e dei professionisti oggi. In questa
sede vorremmo proporre una ulteriore chiave interpretativa, oltre a quella tra
saperi disciplinari e saperi pratici, tutta da indagare e approfondire.
Crediamo che l’origine sia da cercare nella differenza tra una didattica per
concetti e una didattica per competenze. Nella didattica per concetti il mediatore
è il ponte principale tra il soggetto e l’oggetto culturale e accompagna lo
studente grazie alle sue metamorfosi verso un apprendimento che coinvolge
processi fattuali e simbolici (Tall, 2010)[2].
In un apprendimento per competenze l’acquisizione dei concetti è spesso uno
strumento, un frammento che va a comporre il processo più ampio. La competenza
si nutre di conoscenze e abilità, ma non si riduce a esse.
Ecco dunque che nel passaggio da una didattica
per concetti, in cui l’artefatto-mediatore si sovrapponeva al dispositivo
mediatore in quanto operava come rappresentazione, a una didattica per
competenze, in cui l’azione gioca non solo per supportare l’apprendimento dei
contenuti, ma anche per se stessa, il modo di operare degli artefatti presenti
non sempre può essere letto in funzione del dispositivo in quanto vi sono più
dimensioni che interagiscono. Nel processo opera contemporaneamente la
mediazione tra soggetto e oggetto culturale e quella tra soggetto che agisce e
soggetto che riflette sull’azione e pertanto vi è il contributo sincronico di
differenti mediatori, alcuni che si muovono sul piano della rappresentazione,
altri dell’azione. Sebbene entrambi entrino in modo significativo nell’azione
didattica e sebbene il docente debba saper leggere in profondità l’impatto di
ciascuno dei due elementi sul processo, le modalità operative sono differenti.
Per gli artefatti le categorie dell’attivo, iconico, analogico e simbolico sono essenziali per supportare sia a livello semiotico sia didattico l’insegnante nel suo progettare, mentre per i dispositivi il caldo-immersione e il freddo-distanziamento divengono le tipologie principali che vanno alternate per creare il ritmo della didattica e utilizzate per padroneggiare i processi che operazionalizzano le competenze.
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