La trasposizione didattica

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Analizziamo la modalità con cui la scuola ha organizzato e organizza il percorso didattico ovvero come sceglie le tematiche da affrontare, la successione degli argomenti, le strategie didattiche e la logica e le modalità con le quali gestirle in classe.
Vari modelli della didattica della seconda metà del Novecento si fondavano sul triangolo docente-studente-sapere (Houssaye, 1988) e lo collocavano a fondamento della progettazione didattica. Tra essi un ruolo rilevante assume a partire dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso il modello della “trasposizione didattica”.

La trasposizione didattica  
La trasposizione (Chevallard, 1991; Develay, 1995; Damiano, 2013, 145-154) analizza le trasformazioni che subisce il sapere sapiente quando entra nella scuola. Gli studi di Chevallard e Develay hanno evidenziato come il sapere, così come si presenta nelle classi scolastiche, è differente dal sapere sapiente, quello presente nei corsi universitari e nella ricerca nel settore. La lezione essenziale della trasposizione didattica “risiede nella tesi – ormai universalmente accettata – che il sapere scientifico, quando diviene sapere scolastico, con la decontestualizzazione subisce una trasformazione di tipo epistemologico: la trasposizione didattica genera un altro tipo di sapere” (ivi, 146).
Non è una semplice riduzione di argomenti o semplificazione nella trattazione, ma il processo prevede una trasposizione ovvero una rielaborazione. A scuola il sapere viene ricostruito con differenti definizioni, linguaggi, dimostrazioni ed esperimenti. È un sapere altro dotato di una propria autonomia e dignità epistemica, anche se coerente con il sapere sapiente.
Per Chevallard (1991) il sapere insegnato è una trasposizione del sapere sapiente. Develay (1995), sulla scia di Martinand (1989), pone come base per il sapere insegnato, oltre al sapere sapiente, le pratiche sociali di riferimento, con le quali si riferisce alle “attività professionali, domestiche, sociali prodotte e svolte fuori della scuola” (Damiano, 2013, 147)
Al docente spetta il controllo della coerenza tra sapere sapiente e sapere insegnato. Applica la “vigilanza epistemologica” (Verret, 1975; Chevallard, 1991) e controlla che non ci sia dissonanza tra il concetto, così come costruito in classe, e il sapere sapiente, come formalizzato dai ricercatori del settore, dissonanza che creerebbe quelli che D’Amore chiama ostacoli didattici, ovvero non produca idee non corrette negli studenti.

L'apporto di Develay 
Develay completa il processo aggiungendo una fase (link), il sapere appreso, per evidenziare come il risultato finale derivi anche da come lo studente interpreta quanto il docente propone. La modifica di Develay non modifica il processo della trasposizione didattica in quanto la sua origine è sempre collocata nel sapere sapiente, ma evidenzia solo che per l’apprendimento occorre considerare la presenza attiva dello studente.
Chevallard articola in due fasi il passaggio dal sapere sapiente al sapere insegnato. Nella prima fase, definita trasposizione esterna, vengono definiti gli obiettivi e i contenuti essenziali. Gli attori della prima fase sono i responsabili ministeriali dei programmi e delle indicazioni didattiche, gli editori e gli autori di manuali e di materiale educativo, gli organi degli istituti scolastici che forniscono linee guida operative e di indirizzo. Essi individuano i contenuti essenziali e le logiche che caratterizzano una data disciplina.
La seconda fase, la trasposizione interna, è a carico del docente e consiste nell’effettuare un’ulteriore selezione e nell’articolare il percorso didattico su un dato contenuto individuando i tempi, gli obiettivi specifici, le attività, i mediatori, le fasi operative e gli strumenti valutativi.
Dal punto di vista processuale la trasposizione interna vede la presenza di due processi, il primo più connesso alla disciplina, che Damiano definisce didattizzazione, consiste nella rilettura della tematica da affrontare, nella sua decostruzione e poi ricostruzione. Il processo di ricostruzione prevede un nuovo processo di legittimazione e l’individuazione di appositi mediatori. Con il secondo processo, "la trasposizione raddoppia, nel senso che si articola anche come assiologizzazione. Non consiste più, semplicemente, nel trasformare il sapere scientifico in sapere scolastico, bensì nel renderlo formativo anche attraverso la sua elaborazione in termini morali. La “trasposizione” non è più solo un processo epistemologico, ma anche etico. Una estensione che non comporta solo un’aggiunta che si affianca a complemento, bensì incide intimamente trasformando la trasposizione, assumendo una valenza complessivamente antropologica" (Damiano, 2013, 149).La trasposizione richiede sia un processo di didattizzazione, sia di “assiologizzazione”: “un lavoro di assimilazione del sapere scientifico che introduce un adattamento in termini morali: ovvero distintivi del sapere scolastico, e non riconducibili al sapere scientifico” (ivi, 155).

La ricontestualizzazione

La trasposizione è un’operazione complessa che richiede una mediazione tra l’eterotopia-scuola e il mondo, e prevede sia l’autonomia dell’eterotopia-scuola, per garantire in essa quello spazio di libertà in cui lo studente possa sperimentare in sicurezza, sia una connessione con il mondo.
Bernstein (1990, 2001) parla di ricontestualizzazione. Egli individua a livello macro tre processi nel dispositivo pedagogico (pedagogical devise): produzione, ricontestualizzazione e riproduzione della conoscenza: “Questi campi sono gerarchicamente correlati, in quanto la ricontestualizzazione della conoscenza non può avere luogo senza la sua produzione, e la riproduzione non può avere luogo senza la ricontestualizzazione” (Singh, 2010, 574)
"La forma, che prendono i significati, deve avere una relazione indiretta tra i significati e una base materiale specifica. E la ragione di questo è molto chiara: se i significati hanno una relazione diretta con una base materiale, questi significati sono interamente consumati dal contesto (Bernstein, 2001, 30). I termini comune/mondano (discorsi orizzontali) ed esoterico/sacro (discorsi verticali) sono stati formulati da Bernstein (2000) per descrivere i due tipi di conoscenza che mettono in relazione il mondo materiale e quello immateriale" (Singh, 2010, 575).
Sulla relazione tra scuola e mondo insiste anche Meirieu che fornisce un’interessante chiave interpretativa. “Non è possibile – afferma - un reale apprendimento senza che quello che viene appreso si delinei anche in un universo esteriore al contesto dell'apprendimento stesso” (2007, 1768 eb).
"Quello che viene appreso in classe obbedisce a una logica programmatica, ampiamente diversa dalla logica "della vita": a scuola le difficoltà sono presentate in ordine di complessità crescente e le informazioni sono caratterizzate dalla preoccupazione per l'obiettività e l'esaustività e non mirano assolutamente all'efficacia immediata. Nella "vita" le cose si presentano sempre in modo disordinato e noi siamo incalzati dall'urgenza.
Ma il "cosmos" ordina il "caos" e non si costituisce come un "mondo altro" accanto al primo. Il compito della Scuola non è abolire tra i muri dell'aula "il caos della vita" per sostituirvi provvisoriamente "il cosmos della cultura scolastica" che sarà esso stesso abolito quando si tornerà nella "vita"... È bene trasformare il "caos" in "cosmos", lavorare per ordinare il disordine, per capirlo e averne il controllo all'esterno della Scuola. Ora, sfortunatamente succede proprio il contrario: la Scuola costruisce un "cosmos" che si giustappone al "caos" e l'allievo vive tra due culture che coesistono senza interagire" (ivi, 1782ep).

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