Matteo Ricci e la tecnica dei loci
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Quando Matteo Ricci giunse in Cina trovò una cultura e un'organizzazione del pensiero lontane anni luce dal mondo europeo da cui
proveniva. Ben presto si rese conto di una dissonanza: la cultura che voleva
comunicare e, in particolare, la fede cristiana, erano profondamente radicati
nel mondo greco-latino e avevano una struttura
che non era né semplice, né ovvia per un cinese. La strada che scelse fu
la tecnica dei loci. Si era reso conto che i concetti che presentava, sia
relativi alla cultura europea, sia al cristianesimo, avevano un riferimento
epistemologico comune che supportava l’interpretazione del singolo elemento e
la sua collocazione in una struttura più ampia. Ne emergeva un disegno
complesso e organico che in una prospettiva frattale permetteva il passaggio
dal micro al macro e la coerenza interna. Garantivano comprensione e memoria.
Gli stessi concetti si presentavano, invece, agli occhi dei cinesi come
frammenti e, mancando il framework concettuale, erano disorganici e non
connessi. I cinesi non ne percepivano il senso complessivo e questo impediva
che si attivassero i processi di anticipazione e metaforizzazione che
accompagnano l’apprendimento. Non potendo basarsi su un background culturale
condiviso, Matteo Ricci inserì i contenuti una metafora spaziale nota che non
solo permetteva di ricordarli, ma che in base a connessioni spaziali suggeriva
le relazioni.
Ritorna un tema che abbiamo toccato più volte, parlando di
resilienza e, soprattutto, di pari opportunità (Sandoval, 2020). Ogni contenuto
e ogni tema sono radicati in una società e nelle sue strutture culturali,
sociali e logiche. Ogni testo, per essere compreso, richiede al lettore la
conoscenza del contesto e della rete in cui tale testo si colloca. Ogni testo è
sorretto dai legami anche impliciti con la cultura che lo ha prodotto.
Matteo Ricci per guidare i giovani cinesi che si
avvicinavano alla religione cattolica usò una metafora spaziale: il palazzo
della memoria. Ogni concetto abitava una
stanza e concetti collocati nelle stanze vicine avevano con esso maggiori
affinità di concetti lontani. In realtà tale tecnica aveva radici antiche. I
romani ne parlavano nei loro testi di retorica. Cicerone ne trattò nel “De
oratore”. Giulio Camillo Delminio, un friulano che visse a cavallo tra il
quindicesimo e il sedicesimo secolo e che fu tra i fondatori dell’accademia
Liviana a Pordenone, propose per avvicinarsi a un sapere enciclopedico una
struttura visiva, il teatro della memoria,
un'opera colossale che sarebbe rimasta nella storia delle TECNICHE
DI MEMORIA; l'idea di un teatro destinato a recare l'impronta mnemonica di
tutta la conoscenza universale, codificata e organizzata attraverso schemi di
memoria associativa, attraverso i quali ciascuno studioso poteva muoversi,
seguire i propri percorsi e ripercorrere quindi tutto lo scibile della
conoscenza umana[1].
Il palazzo della memoria diviene lo strumento utilizzato da
Matteo per la sua azione missionaria. Come si legge nella quarta di copertina
del testo di Jonathan Spence (2010)
Matteo Ricci
non cercò solo di ritrovare Confucio in Epitteto e far scoprire Epitteto in
Confucio. Al fine di entrare con sottile precisione in un sistema psichico
totalmente alieno, utilizzò anche un'arte antica e segreta dell'Occidente, la
mnemotecnica, elaborando un Palazzo della memoria che doveva fissare
indelebilmente alcuni punti essenziali della dottrina cristiana.
La tecnica dei loci è lo strumento logico utile non tanto
per ricordare, ma per sistematizzare e dare senso a un sapere enciclopedico.
Visualizza i legami che a prima vista e per l’assenza di un riferimento
epistemologico, non sono ovvi a chi apprende. Se ripensiamo al testo di
Sandoval, anche oggi le relazioni esistenti tra i diversi frammenti del sapere
potrebbero avere senso solo per alcuni soggetti, appartenenti a una data
cultura, mentre per altri potrebbero apparire come informazioni tra loro
slegate. Per questi ultimi potrebbe essere utile visualizzare con la tecnica
dei loci uno spazio strutturato che connetta i vari elementi.
La distanza epistemologica tra Matteo Ricci e i cinesi è la
stessa distanza che esiste tra un docente e i suoi studenti. Per un docente la
propria disciplina è una struttura organica in cui ogni nodo è connesso e
rimanda a un altro. La connessione tra i vari nodi permette di illuminare il
singolo nodo e rimanda al senso profondo della disciplina, ai nuclei fondanti
che ritornano ricorsivamente, alle potenzialità generative degli stessi.
Lo sviluppo di ogni disciplina ha evidenziato come elementi in apparenza distinti potessero grazie a un framework
teorico essere parte di un sistema unico. Newton ha connesso la caduta della
mela alla rotazione della Luna intorno alla Terra e al moto di tutti i corpi
celesti. Maxwell con quattro semplici formule ha descritto e collegato
l’elettricità al magnetismo. Tutta la fisica del novecento ha cercato una
teoria unificante che connettesse il mondo delle particelle subatomiche alle
leggi dell’universo. Ma anche nello studio delle letterature individuare un movimento
culturale, parlare ad esempio di Romanticismo, equivale a cogliere alcune
caratteristiche comuni ad alcuni autori di un dato periodo e questo diviene
generativo nello studio dei singoli e supporta la costruzione di una mappa
complessiva del periodo. La geometria euclidea si fonda su 4 assiomi e su poche
basi e l’applicazione della logica aristotelica costruisce tutto l’edificio.
[1] Fabrizio
Caragnano in http://www.studiomepec.it/112-tecniche-di-apprendimento-e-memoria/201-tecniche-di-memoria-il-segreto-del-palazzo-mentale
visibile in rete il 24/1/2021
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