PROPIT

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PROPIT, Progettare per la Personalizzazione e l’Inclusione con le Tecnologie, nasce nel 2013. In un corso per docenti a Cordenons (PN) era stata richiesta una formazione sull’uso e la costruzione delle mappe. Nell’incontro successivo una docente mostrò una propria sperimentazione, una mappa della lezione sull’apparato scheletrico che, invece di descrivere il contenuto, narrava il percorso fatto e nei nodi aveva inserito le immagini utilizzate a lezione. In una aveva inserito anche la foto della lastra di uno studente che si era rotto un femore, facendo emergere così una potenzialità dell’artefatto: la curvatura sul contesto. Nessun manuale presenta materiali relativi al vissuto e i mediatori situati si dimostrano spesso efficaci nella didattica. Quella proposta fece scattare come una scintilla e suggerì come le mappe, da sempre utilizzate per organizzare un contenuto, potessero essere utilizzate anche per descrivere un percorso didattico.

In base a quel primo abbozzo prese forma l’idea progettuale e la prima sperimentazione organica di PROPIT che fu realizzata nell’Istituto Comprensivo Torre di Pordenone dove si formò una comunità di pratica inizialmente composta da 4 insegnanti: Patrizia Balbi, Annalisa Barbariol, Federica Deganutti, Claudia del Mastro. In seguito si sono unite Annarita Ortu, Flora Pessot ed Edvige De Martin. Nel primo lavoro sperimentale si utilizzò la mappa per descrivere un progetto di arte effettuato nel territorio che comprendeva anche un’uscita. La struttura digitale era realizzata con VUE[1], un software per mappe creato dalla Tufts University. Le mappe dell’attività, una mappa modulo e tre mappe, una per ogni sessione, avevano già molti elementi delle produzioni successive in quanto permettevano di esplicitare un percorso legato al contesto e transdisciplinare. Le mappe presentavano la struttura del percorso, articolato in tre incontri, e ogni nodo attività aggregava, oltre ai materiali predisposti dalla docente e i link a documenti esterni, i prodotti realizzati dagli stupendi per sperimentare le tecniche dell’acquarello, le immagini ricavate nelle uscite nel territorio, e, infine, la ristrutturazione e riorganizzazione delle idee realizzate nell’incontro finale.  In Figura 1 è riportata la mappa modulo. Cliccando nei nodi si aprivano le mappe delle singole sessioni di lavoro. Il percorso è connesso al contesto e non può essere trovato in nessun manuale. Inoltre la rappresentazione permetteva di organizzare con la logica del vissuto e delle attività, le indicazioni teoriche, appunti di storia dell’arte, i lavori degli studenti e le riflessioni finali. Ma anche le emozioni e i vissuti dell’uscita. In sintesi, le mappe in VUE ricostruivano il vissuto e aggregavano e organizzavano i materiali.


Figura 13 - Mappa del modulo

Come suggerisce Morin (1987) l’organizzazione è la costruzione di senso che nasce in un sistema ed è frutto delle relazioni in esso presenti. Ma le relazioni da sole non bastano e solo in alcuni casi il sistema, grazie alla sua auto-organizzazione, produce un’emergenza di senso. Nell’esempio sopra ricordato la mappa non serviva solo come documentazione, ma permetteva di far emergere la conoscenza condivisa e prodotta nel percorso e di fornirle una struttura leggibile e organica. Ha permesso l’organizzazione dell’esperienza.

Dopo la comunità di Torre si sono formati altri gruppi di sperimentazione: Macerata, Torino, Sassoferrato, San Benedetto del Tronto, Alba Adriatica, Senigallia.



[1] https://vue.tufts.edu/




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