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Esperienza ed educazione (1936) di Dewey è uno di quei testi che riprendo spesso in mano e rileggo con attenzione ed emozione. Ogni rilettura produce nuovi stimoli e spunti, ogni rilettura apre nuovi orizzonti.
Credo che in tale opera possano essere trovati alcuni elementi utili e presenti anche nei percorsi educativi attuali. Vi è una linea rossa che parte da Dewey e dall'attivismo americano, passa per Ginevra, grazie ai lavori di Piaget e, prima di lui, di Claparède, si connette con il costruttivismo che ha sue radici in Vygotskij, e in Italia trova linfa nel Movimento di Cooperazione Educativa. Più recentemente i lavori di Papert della fine del XX secolo e della cultura maker recuperano tale filo rosso e vedono un nesso tra l'attivismo classico e il fare esperienze con le tecnologie digitali.
Quali sono gli elementi del movimento maker e delle strategie focalizzate sull'attività che recuperano e riprendono le tematiche classiche dell'attivismo?
Il concetto di futuro è sicuramente un punto fermo e un elemento caratterizzante. Dewey critica l'educazione tradizionale dove "imparare significa acquisire ciò che è incorporato nei libri e nelle teste degli adulti. Inoltre ciò che è insegnato è pensato come essenzialmente statico. Lo si impartisce come un prodotto finito, senza troppo curarsi della sua origine e dei cambiamenti che subirà certamente in avvenire. Esso, pur essendo in gran parte il prodotto culturale di società che muovevano dalla persuasione che il futuro sarebbe stato come il passato, si porge come alimento all'educazione di una società in cui il cambiamento è la regola e non l'eccezione". In tali pratiche educative vi è "un abisso tra i prodotti del maturo e dell'adulto e le esperienze o abilità del ragazzo" per cui "la situazione di fatto impedisce una molto attiva partecipazione degli alunni a ciò che vien loro insegnato".
In quella che Dewey chiama scuola progressista invece "all'imposizione dall'alto si oppongono l'espressione e la cultura dell'individualità; alla disciplina esterna la libera attività; all'imparare dai libri e dai maestri, l'apprendere attraverso l'esperienza; all'acquisto di abilità e di tecniche isolate attraverso l'esercizio si oppone un conseguimento di esse come mezzi per ottenere fini che rispondono a esigenze vitali; alla preparazione per un futuro più o meno remoto si oppone il massimo sfruttamento delle possibilità della vita presente; ai fini e ai materiali statici è opposta la familiarizzazione con un mondo in movimento".
Per Dewey centrale è la relazione dell'esperienza con un futuro non ipotetico, tipico di chi propone di studiare un contenuto perchè poi ti servirà (impara l'arte e mettila da parte). Contro tale idea Dewey si esprime nettamente: "In primo luogo, un individuo, giovane o vecchio, deve trarre dalla sua esperienza presente tutto quanto essa gli offre in quel momento. Se si considera che il fine che controlla è la preparazione alla vita, le possibilità del presente sono sacrificate a un ipotetico futuro. Ogni volta che questo accade, l'attiva preparazione per il futuro vien meno o è falsata. L'ideale di adoperare il presente unicamente come preparazione al futuro è in sé contraddittorio. Significa omettere o persino eliminare le sole condizioni che permetterebbero a un individuo di preparare il proprio avvenire. Noi viviamo sempre nel nostro tempo e non in un altro: solo estraendo in ogni momento il pieno significato di ogni esperienza presente ci prepariamo a fare altrettanto nel futuro".
Dewey prosegue con un'esortazione: "Ci tocca di accertare in che modo la conoscenza del passato può essere trasformata in un potente strumento per agire effettivamente sul futuro. Quanto più dobbiamo rifiutare la conoscenza del passato come fine dell'educazione, tanto più dobbiamo insistere sull'importanza di essa come mezzo".
Il secondo tema è quello che Dewey chiama continuum sperimentale. "La crescita, ovvero il crescere come svolgimento, non soltanto fisicamente, ma anche intellettualmente e moralmente, è un esempio del principio di continuità". Continuità significa partire dalle conoscenze pregresse dello studente, dal suo mondo e aprire a nuovi futuri. Significa fare appello alle conoscenza del passato, ma in funzione della continuità ovvero in funzione di come possano essere utili per interpretare il mondo e affrontare nuove sfide. Inoltre "noi viviamo dalla nascita alla morte in un mondo di persone e di cose che in larga misura è quel che è in virtù di ciò che è stato fatto e trasmesso dall'attività degli uomini che ci hanno preceduto".
Il terzo elemento è la focalizzazione sull'interazione. "Essa assegna eguali diritti ai due fattori dell'esperienza: le condizioni obiettive e le interne" che insieme "costituiscono quella che io chiamo situazione". La distanza che separa l'educazione progressista da quella tradizionale è proprio il ruolo che viene dato alle cause interne, il mondo dello studente, le sue motivazioni, emozioni e vissuti, che, sottolinea Dewey, debbono essere in interazione con le condizioni obiettive. Uno sbilanciamento verso le condizioni interne, infatti, per Dewey sarebbe altrettanto dannoso: "Il guaio dell'educazione tradizionale non consisteva già nel porre l'accento sulle condizioni esterne che partecipano al controllo delle esperienze, ma che si facesse così poca attenzione ai fattori interni che pure fanno sentire il loro peso sul genere di esperienza che si avrà. Si violava il principio dell'interazione da una parte. Ma questa violazione non è una buona ragione perché la nuova educazione violi il principio dall'altra parte".
Dewey precisa: "La situazione e l'interazione non si possono concepire l'una scissa dall'altra. Un'esperienza è sempre quel che è in virtù di una transazione che si stabilisce fra un individuo, sia che quest'ultimo consista in persone con cui sta parlando, di un argomento o di un avvenimento, e in questo caso l'argomento fa parte della situazione, sia che consista in giochi cui attende; in un libro che sta leggendo, ovvero in materiali di un esperimento in corso. L'ambiente, in altre parole, sono le condizioni, quali siano, che interagiscono con i bisogni, i desideri, i propositi e le capacità personali per creare l'esperienza che si compie. Anche quando un individuo costruisce un castello in aria, interagisce con gli oggetti che costruisce nella sua fantasia". Il ruolo centrale svolto dal rapporto interattivo tra le condizioni obiettive esterne e le interne determina anche che "non già l'oggetto per sé è educativo o promuove la crescita. A nessuna materia di studio in sé e per sé, astraendo dal grado di svolgimento raggiunto da chi impara, si può attribuire un intrinseco valore educativo". Dewey critica ogni idea che assegni alle discipline un ruolo formativo in quanto tali e la possibilità di insegnarle in nome di un non precisato futuro.
Quali gli elementi della cultura attuale post-digitale richiedono una riflessione e introducono alcuni elementi di novità nell'attivismo classico?
La centralità dell'esperienza, l'attenzione al mondo dello studente e lo sguardo al futuro sono elementi comuni. "La natura dinamica, emergente e indefinita di tale apprendimento presuppone sempre un orientamento al futuro e una ricorsività, legata alle pratiche di progettazione e revisione reiterate" (Gratani, 2023).
Un primo elemento di riflessione è il ruolo giocato dall'esperienza. Si apprende dall'esperienza e per l'esperienza (Dewey) ovvero dall'esperienza si estraggono elementi di conoscenza per affrontare esperienze future. "Sopra tutto, egli (l'educatore) dovrebbe conoscere in che modo utilizzare la situazione circostante, fisica e sociale, per estrarne tutti gli elementi che debbono contribuire a promuovere esperienze di valore". Il riferimento è a un sapere dichiarativo che va appreso dall'esperienza per poi utilizzarlo in altre situazioni. Ancora Dewey sottolinea: "Quello che ha acquistato in conoscenza e abilità in una situazione diventa strumento di comprensione di effettiva azione nella situazione che segue". Cosa avviene quando da un sapere dichiarativo si passa a un sapere procedurale (Bolter, 2020) come quello che caratterizza la cultura del post-digitale? Quando il fare si caratterizza come produzione di artefatti necessari a risolvere problemi della vita reale e quando l'attività consiste nell'aggregare in modo creativo tecnologie e materiali? Il fare non è solo finalizzato al conoscere, ma anche al creare artefatti socialmente utili.
L'esperienza in Dewey è il mettere in atto il "metodo scientifico". Per sperimentare suggerisce come una delle strategie fondamentali la relazione causa-effetto. La complessità del reale oggi ci chiede di riflettere sui metodi di ricerca. Nella complessità il principio di causa-effetto e in generale gli approcci riduzionisti non sempre sono applicabili (Manovich, 2023).
In Dewey emerge una fiducia ancora positivistica nella scienza: "I metodi della scienza indicano quali misure e direttive possono condurre all'instaurazione di un ordine sociale migliore. Le applicazioni scientifiche che hanno prodotto in larga misura le condizioni sociali esistenti, non hanno esaurito tutte le loro possibilità. Poiché finora la scienza è stata applicata più o meno casualmente e sotto l'influsso di fini come il vantaggio e la potenza privata, che sono retaggio delle istituzioni di un'età prescientifica". E ancora: "Se il metodo della scienza fosse stato adoperato con maggiore coerenza e continuità nel lavoro quotidiano della scuola, in tutte le materie, sarei maggiormente impressionato da questo appello appassionato. (...) L'altra alternativa è la sistematica utilizzazione del metodo scientifico considerato come modello e ideale dell'intelligente esplorazione e sfruttamento delle possibilità implicite nella esperienza".
Oggi al centro sono le tecnologie, con tutti gli effetti negativi e positivi che ciò comporta. Esse sono dispositivi che incorporano conoscenza. Nell'interazione con gli umani permettono di costruire il mondo, ma sono anche le principali costituenti del mondo stesso. Le tecnologie non sono mediatori tra gli umani e il mondo, ma sono dispositivi che permettono agli umani di interagire con altre tecnologie (Floridi). Lo spostamento dell'attenzione dalla scienza alle tecnologie sposta l'attenzione da approcci dichiarativi ad approcci procedurali (Bolter) e rimette in discussione il metodo scientifico classico in quanto non permette un approccio riduzionista: ogni intervento delle tecnologie modifica il mondo e nessuna ricerca può più essere utilizzata senza tener conto di questa fluidità, di questa iterazione continua tra umani e ambiente (Manovich). Crea anche problemi di ambito etico e morale e richiede di mettere in campo un approccio critico, apparentemente non necessario quando la scienza era finalizzata a interpretare un mondo assoluto governato da leggi indipendenti dagli umani, un mondo "naturale". Oggi il mondo che viviamo è frutto di una continua interazione tra natura e cultura. Il fare produce cambiamenti e trasformazioni e incide sul mondo che andiamo a costruire. Il solo metodo scientifico non può essere l'unico criterio di validazione.
Si modifica anche la conoscenza che da assoluta diviene sempre più situata, ovvero come qualcosa che si reifica nei contesti. Tale affermazione non va assunta come relativizzazione del sapere. Va intesa nel senso che ogni conoscenza è composta da differenti dimensioni: alcune generali e condivise socialmente, altre frutto dell'esperienza locale e connesse alle emozioni e ai vissuti di chi le compie. Il concetto-colla composto da linguaggio, esperienze, emozioni e componenti senso-manuali va in questa direzione (Caruana & Borghi).
Oggi il learning-by-making modifica in parte il learning-by-doing. Nel learning-by-doing l'esperienza aveva un ruolo centrale nel favorire un apprendimento significativo, ovvero era il canale per costruire conoscenze che impattavano in profondità sui soggetti, rimanendo ben radicate in essi. In molti casi più che costruire conoscenza, si trattava di ricostruire, attraverso un'attività, una conoscenza già patrimonio degli umani. Cambia il canale con cui lo studente acquisisce tale sapere: non è il docente o un testo che trasmettono tale conoscenza, ma il docente predispone un ambiente generativo attraverso la cui esplorazione lo studente, godendo di una parziale autonomia, ricostruisce un sapere già noto nel mondo scientifico.
La finalità del learning-by-making è profondamente diversa. Esso si propone di costruire artefatti innovativi che intercettino un bisogno sociale reale. Al centro vi è un percorso creativo che parte da due processi: 1) analizzare il contesto, essere un empatia con il mondo, individuare problematiche sociali presenti. 2) conoscere materiali e apparati che caratterizzano le tecnologie tradizionali e digitali.
Il progetto e la realizzazione consistono in un processo creativo in cui frammenti delle tecnologie esistenti vengono aggregati per realizzare un artefatto che non esisteva e, spesso, non era neanche stato pensato. Si tratta di un processo creativo ed è focalizzato sulla costruzione di un artefatto che non esiste. Un'osservazione: la costruzione di artefatti è data dalla presenza di tecnologie, come quelle digitali, che rendono possibile la produzione di oggetti anche con competenze limitate da parte di opera e con tecnologie facilmente abbordabili. Si pensi alle stampanti digitali solo per fare un esempio. Altre volte la creazione si ottiene aggregando componenti che è facile trovare sul mercato e che inglobano funzioni complesse, anche se l'aggregazione produce risultati non prevedibili solo conoscendo i componenti di base.
Il learning-by-making richiede anche un'attenzione al mondo esterno, al sociale e all'ambiente.
Vanno in questa direzione molte delle attività che utilizzano kit robotici per costruire artefatti in cui vengono aggregati sensori, attuatori, componenti varie per rispondere a problemi ecologici e sociali.
Vanno in questa direzione molti progetti promossi dal Lab. finlandese guidato da Hakkarainen & Seitamaa-Hakkarainen che si fonda sulla teoria dell'Invention pedagogy. Il Laboratorio vede nella tradizione finlandese del Craft la sua base, ma riprende tale tradizione grazie all'ibridazione di tecnologie classiche e digitali, puntando alla costruzione di artefatti socialmente utili. La Invention pedagogy mette al centro la creatività che oggi diviene un'attitudine centrale in un mondo governato dall'incertezza e dalla necessità di saper reagire in modo tempestivo e innovativo a eventi imprevisti e mai affrontati (in relazione alla policrisi si veda Capolla, Pentucci, Rossi, 2023).
Alcune ricadute del learning-by-making sono:
1. la necessità di un approccio critico in cui la dimensione etica è sempre presente. Occorre riflettere che tale dimensione è connessa alla presenza di una conoscenza locale. Se la conoscenza fosse assoluta e derivasse dal funzionamento della natura, sarebbe una legge naturale che di per sé non è connessa all'etica. La seconda legge della dinamica di per sé ha elementi di neutralità (si potrebbe argomentare che la logica con cui la scienza ha definito tale legge non è estranea alla cultura che la ha generata, ma crediamo che in questa sede ciò possa essere non rilevante in quanto difficilmente quando vengono introdotte le leggi della dinamica si esaminano tali aspetti). La costruzione di un artefatto frutto dell'integrazione di tecnologie classiche e digitali impatta sulla realtà e non può essere di per sé considerato neutro. Va analizzato il suo impatto sociale e ambientale, e la sua eco-sostenibilità.
2. i processi che portano alla costruzione dell'artefatto in ambito educativo sono nella maggioranza transdisciplinari;
3. i processi che portano alla realizzazione degli artefatti vedono la presenza di materializzazione e di esternalizzazione (Seitamaa-Hakkarainen; Gratani): richiedono percorsi iterativi tra progettare e realizzare, richiedono la conoscenza e il rispetto delle caratteristiche e dei vincoli dei materiali; richiedono di attivare processi di esplicitazione (costruzione di progetti, di narrazioni, di bozze, di documentazione) ovvero processi di riflessione e di metariflessione.
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