Ancora sul post-costruttivismo

Il dibattito degli ultimi 10 anni messo in discussione alcuni aspetti del costruttivismo.
Le motivazioni sono differenti. Si passa dal testo di Lesh e Doerr (2003) che, analizzando nello specifico la didattica della matematica evidenziano come non si possa costruire tutto (ad esempio le convenzioni) e sottolineano il ruolo della modellizzazione, alle critiche di Begg (quali paramentri per giudicare la conoscenza costruita?). In campo filosofico hanno guadagnato terreno teorie esternaliste e neo-realiste (Ferraris, Manzotti, O'Regan, Noe, Clark). Poi l'enattivismo e l'embodiment.
[Sullo stesso tema si vedano altri post di questo blog (neorealismo-e-didattica, fili connessi)]
Credo che occorra ora inserire altri tasselli per approfondire. Ad esempio quali sono i punti di contatto e di distanza tra costruttivismo ed enattivismo? Innanzitutto credo che l'enattivismo sia uno sviluppo e non una rottura con il costruttivismo. Il punto centrale è nel rapporto tra epistemologia e ontologia (riprendendo Ferraris). Per von Glasersfeld il costruttivismo parte dall'inutilità o dall'impossibilità dell'ontologia e ritiene che l'epistemologia sia la finalità della filosofia. Vi è una costruzione di conoscenza che avviene si grazie all'esperienza, ma non permette una conoscenza di un mondo oggettivo ("According to him, the only way of “knowing” a thing is to have made it, for only then do we know what its components are and how they were put together", "For us, Vico considers man’s rational knowledge and the world of rational experience simultaneous products of man’s cognitive construction"; "Vico’s thought, the construction of knowledge, for him, is not constrained by the goal of (impossible) correspondence with an “objective” reality that can neither be experienced or known. It is, however, constrained by conditions that arise out of the material used, which, be it concrete or abstract, always consists of the results of prior construction" 1984). Solo Dio che ha costruito il mondo può conoscerlo, dice von Glasersfeld, noi possiamo conoscere i nostri artefatti. La non connessione tra epistemologia e ontologia elimina ogni possibilità di verifica della conoscenza e la conoscenza non è più ricerca di verità, ma di atteggiamenti e modi di pensare adeguati: "Knowledge can now be seen as something which the organism builds up in the attempt to order the as such amorphous flow of experience by establishing repeatable experiences and relatively reliable relations between them. The possibilities of constructing such an order are determined and perpetually constrained by the preceding steps in the construction. That means that the “real” world manifests itself exclusively there where our constructions break down. But since we can describe and explain these breakdowns only in the very concepts that we have used to build the failing structures, this process can never yield a picture of a world that we could hold responsible for their failure. Once this has been fully understood, it will be obvious that radical constructivism itself must not be interpreted as a picture or description of any absolute reality, but as a possible model of knowing and the acquisition of knowledge in cognitive organisms that are capable of constructing for themselves, on the basis of their own experience, a more or less reliable world" pag. 14.
Il recupero dell'ontologia proposto da Ferraris diviene essenziale oggi più che nel 1984.
Il problema è proprio quello evidenziato da von Glasersfeld: "What are the conditions under which a new construct will be considered compatible with what has already been constructed?" La domanda si avvicina molto alla critica di Begg (2000) e assume un ruolo etico prima che gnoseologico o ontologico. Nella realtà attuale possiamo rinunciare a chiederci gli effetti del nostro agire e permetterci di non trovare delle modalità per valutare gli effetti del nostro agire? (in un prossimo post occorre analizzare il ruolo delle dimensioni)
Un secondo aspetto è la relazione tra conoscenza e azione. Nel costruttivismo la conoscenza è un processo che avviene nel singolo anche se deriva dalla sua esperienza. La teoria enattiva e gran parte delle teorie attuali che partono dalla critica alla teoria di Cartesio, pongono al centro l'azione come spazio-tempo in cui la conoscenza si produce come sotto prodotto dell'azione stessa, in un processo che coinvolge non solo il cervello ma anche il corpo e l'ambiente, ambiente che si comporta non come un contesto-sfondo ma come un attore che dialoga con il soggetto. L'azione è ad un tempo oggettiva e soggettiva. Oggettiva in quanto coinvolge diversi soggetti e l'ambiente, soggettiva in quanto frutto di una azione specifica e di una interazione, quindi non autonoma dall'operare del gruppo e dalla risposta specifica dell'ambiente. Mettere al centro l'azione ripropone l'agire come fatto complesso e concreto e costruttore di mondi. Su questo piano non pochi sono i collegamenti con i recenti progressi delle neuroscienze.
In sintesi, il costruttivismo, anche quello radicale, pone al centro l'esperienza ma in funzione della conoscenza e vede la conoscenza come processo autonomo e centrale del cervello individuale, come riflessione sull'esperienza e non come presente e interna all'azione. Oggi è possibile una nuova sintesi che superi la contraddizione oggettivo-soggettivo e veda nell'azione una sintesi significativa. In tale processo sicuramente sono ripresi alcuni elementi del socio-costruttivismo, anche se il ruolo centrale assegnato all'azione, la continuità cervello-corpo-artefatto-mando, provocano un sottile fossato.
E per la formazione?
La scuola, l'università e la formazione sono viste come funzionali all'apprendimento, alla conoscenza, come se fossero un non-tempo e un non-spazio. Se sono uno spazio-tempo che si sviluppa in alcuni anni, che coinvolge in modo significativo, anche se non totale, la vita di diversi soggetti, forse allora vanno viste diversamente. Sono un'azione, un processo che coinvolge cervello-corpo-ambiente. Un'azione in cui docente, studenti e ambiente dialogano e si modificano. Inizia con una proposta-dispositivo del docente, ma poi nel dialogo tutto evolve. Anche l'ambiente che con i suoi attriti influisce sulla traiettoria dell'azione.







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